Viviamo in un’epoca dove comunicare è sempre più difficile e dove fare il giornalista è diventato molto complicato. Allora ecco che ci sono persone che in nome della massima logora trita e ritrita, ma più che mai attuale del “tengo famiglia”, per una sorta di quieto vivere, piuttosto che fare informazione preferiscono darsi alla mera propaganda, strumentalizzando il pensiero e il lavoro, in maniera faziosa e poco elegante di chi, invece, prova tra mille difficoltà di qualsiasi natura, ad informare le persone in maniera limpida e con tutti i crismi, risultando alla fine penalizzata e per certi versi discriminata. Reminiscenze scolastiche mi ricordano il passo de “I promessi sposi”, nel quale il pavido e insicuro Don Abbondio, dopo il colloquio avuto con il Cardinale Borromeo, mormora dentro di sè, “Se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può mica dare…”. In contrapposizione a questa vigliacca e per certi versi sconcia figura, troviamo Fra’ Cristoforo, il quale si reca di persona dal signorotto Don Rodrigo, per farlo desistere dal suo capriccio, dal momento che il cattivo iberico, che alla fine del romanzo morirà di peste, voleva che Lucia fosse mandata sotto la sua protezione. Orbene, l’audace frate paga a carissimo prezzo la sua ribellione, mentre il curato di campagna rimane al suo posto, senza nessuna conseguenza.
Queste persone a volte si occupano di sport e nei loro atteggiamenti si mostrano faziosi e poco equilibrati, assumendo le sembianze dei servi sciocchi di Montanelliana memoria. Verso di loro si possono addurre scusanti del tipo, “tengo famiglia”, “se non mi comporto in questa maniera non mi fanno lavorare” ed altre giustificazioni simili che personalmente comprendo ma non giustifico.
Il giornalista ha l’obbligo di riportare i fatti rispettando la verità sostanziale degli stessi, senza adulterarla per i fini del padrone di turno, il quale, spesso, non si mostra per nulla tenero nei confronti di chi, per scelta personale e per preservare la propria onestà intellettuale, decide di non attaccarsi quella sorta di cartello con la scritta, “Non sono credibile, ma tengo famiglia”, per rispetto verso se stessi, verso la propria professione, che una volta, ma tanto tempo fa, era considerata il quarto potere, e soprattutto per quello del pubblico che lo segue con a volte malriposta fiducia.
Diverse volte mi è capitato di sentire alcuni colleghi pronunciare il pronome “noi”, con riferimento alla propria persona e alla tale squadra di calcio, pur non trattandosi di un plurale maiestatis. Mi chiedo questo quanto possa giovare alla loro credibilità e a quella di tutta la categoria, in un momento nel quale si viene attaccati e si scende nelle piazze per manifestare la propria libertà e onestà di pensiero. La verità è che “bisogna remare tutti dalla stessa parte”, come se si trattasse di una gara di nuoto a squadre.
Chiudo questa mia piccola considerazione con due citazioni, la prima dello scrittore Horacio Verbitsky e la seconda di Bertolt Brecht . “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianze, e , pertanto, essere molesto”.
“Chi non conosce la verità è un ingenuo, ma chi pur conoscendola la chiama bugia è un delinquente.”